Dino Fumaretto è una voce fuori dal coro all’interno del panorama cantautorale italiano.
Le sue canzoni, brevi bozzetti che raramente superano i tre minuti, sono fotogrammi di vita quotidiana impressi nel momento esatto in cui vengono deformati da un improvviso vento fortissimo.
Con voce nasale e magnetica, ma anche profonda nei frequenti “recitar cantando“, e pianismo minimale e percussivo, Dino Fumaretto fugge la retorica attraverso l’apparente uniformità della propria espressione, maschera imperturbabile nei confronti della solitudine, dell’assurdità e del cinismo della vita attuale.
Ma c’è spazio anche per l’ironia, specialmente all’interno delle proprie “performance” live, molto teatrali: un’ironia agra nella quale si ride dello stesso Fumaretto che si agita e strepita aggrappato al proprio pianoforte, mentre prova a convincerci dell’esistenza di un baratro alle nostre spalle.
Daccordo con l’autore potremmo dire: si ride molto, si, ma con ansia.
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Pochi strumenti e un pugno di accordi scarnificati sono lo stretto necessario per mettere a nudo la linda franchezza del suo canto libero e attraverso di esso il sapore acre di una rivolta dell’anima che alla miseria dell’apparire contrappone la gioia dell’essere.
Aldo Chimenti, Rockerilla n.358 – voto: 8/10Bislacco e assieme concreto nella sua colta irriverenza, “La vita è breve e spesso rimane sotto” brilla di luce che ci sentiamo di definire propria…sempre che qualcuno non sappia indicarci un altro artista che richiama alla mente una sorta di creatura mitologica con caratteristiche di Tricarico, Giovanni Allevi, Simone Cristicchi, Bugo e Giovanni Lindo Ferretti.
Un approccio perfettamente in linea, quindi, con le non-direttive di quel “laboratorio creativo” che è la Trovarobato, lontano dal cantautorato più o meno classico quanto dallo pseudo-dadaismo fine a se tesso di certi cosiddetti avanguardisti.
Federico Guglielmi, Il Mucchio Selvaggio, Giugno 2010E’ perciò bello e sorprendente ascoltare i primo vero disco di Dino Fumaretto: scansioni pianistiche insistite e solida voce salmodiante/recitante per un’intensa sequenza di storie da “cronista del disagio”. […] Gli riesce anche una melodia da singolo (Fuck the World) che in un paese migliore tutte le radio suonerebbero..
Antonio Vivaldi, XL, Luglio/Agosto 2010 – voto: 7.9Rare capacità “cantattoriali” sostengono il livello elevato e “sublime” della musica e, grazie ad un ottimo vigore espressivo, trasportano le canzoni sopra le righe, con un’enfasi che provoca un riso aspro e sarcastico sulle illusioni e i sogni delle «solite balle», sulle miserie dell’efficientismo monotono imposto dal presente e sull’ «inconsistenza […] oscena» dell’arte di provincia.
L’audacia delle interpretazioni rammenta Capossela o John De Leo, l’antiretorica imprevedibile ricorda l’amico Dente, mentre la virulenza polemica nascosta nella sostanza teatrale delle performance fa venire in mente il Gaber più pensoso. Ma sono solo suggestioni esplicative: il progetto manifesta infatti piena originalità.
Ambrosia Jole Silvia Imbornone, L’isola che non c’eraUn pianoforte con la p maiuscola, come si deve, serio, suonato veramente bene, percussivo e ossessivo, a volte quasi cattivo ma anche, raramente, melodico ed accattivante, insomma alla Mertens, prevalentemente. Una voce flebile ma urlata ed ululante, da Tito Schipa Jr., se il CD fosse stato concepito come un’opera unica, o da Alan Sorrenti degli esordi, se i suoi brani non fossero cortissimi. Con una differenza sostanziale però rispetto ai miti del passato (Tim Buckley per esempio): Billoni appare psicanalitico sì ma senza essere psichedelico, non gli è proprio, almeno com’è stato finora inteso il termine, piuttosto egli si avvicina, come autore ed interprete, ad una forma teatro/canzone nuova anche se erede, potremmo senz’altro dire, del grande Gaber, specie quello di Polli da allevamento o di Far finta di esser sani, che senz’altro avrebbe apprezzato.
Nicola M. Spagnoli, Raro!, Giugno 2010L’impressione è quella di avere tra le mani un disco che offre una quadratura del cerchio in grado di bastare a se stessa. Un equilibrio raggiunto recuperando le intenzioni degli esordi e al contempo rilanciando. Il risultato è un cantautorato atipico, unico e di grande valore. Se Jannacci iniziasse oggi la sua carriera, probabilmente il suo esordio sarebbe così.
Marco Villa, Rockit.it
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