Feexer – “Don’t Bother”

FEEXER
“Don’t Bother”
Data d’uscita: 4 novembre 2022
Label: Autoprodotto

(presspage riservata alla stampa, non pubblicare)

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Feexer, al tempo stesso moniker dell’artista e produttore modenese Manuel Ciccarelli e nome della band, ama mescolare gli opposti. Urgenza e lassismo. Riff distorti accanto ad arpeggi acustici minimali. Frequenze basse abitate da sintetizzatori ingombranti e pianoforti primordiali più simili a carillon. Senza l’obiettivo di ottenere un determinato sound ma perché tutto questo lo aiuta a creare canzoni.
Feexer nasce nel 2017 con la pubblicazione di un demo-album chiamato “Headed To”, che ha rappresentato l’inizio di un percorso di sperimentazione di suoni e alchimie, in grado di raccogliere l’esperienza passata dell’artista all’interno della scena alternativa italiana e alimentando la volontà di esplorare un percorso più personale e intimistico.
Radicando la certezza di avere qualcosa di importante e impellente da dire, oltre a terminare di comporre l’album e alla luce delle difficoltà di chi nel settore aveva fortemente apprezzato i suoi demo, Feexer decide di occuparsi della produzione del suo album d’esordio in studio.
La creazione di “Don’t Bother” si è in breve tempo trasformata in un centro di gravità importante anche per diversi artisti della scena modenese. Il video del singolo “What It Takes” è stato girato in quello che ha rappresentato per anni una Mecca della scena alternativa locale, lo Zeta Factory di Carpi con la produzione di Paolo Viesti e Joba insieme al regista Roberto Zampa. Giuseppe Bassi (dysFUNCTION Productions) ha invece aggiunto quel suo particolare tocco a quello che era un prodotto ormai in fase avanzata con intuizioni che si sono rivelate complementari. Importante è stato poi l’ingresso nella band del batterista Stefano Mazzoli, già componente della band Zeroin, contribuendo in modo fondamentale nella stesura finale del disco.
Da tutto questo nasce “Don’t Bother” che, al contrario del senso letterale del titolo, vuole essere un inno a non lasciare scorrere le cose, un elogio all’azzannare la vita, soprattutto quando è lei a urlarci contro. Ma è anche il prodotto di un mondo, quello da cui proviene Feexer, che forse ha avuto troppo poco risalto dopo i ridenti anni Duemila. La musica alternativa italiana non è mai stata così internazionale e così in forma. Forse, semplicemente, non se ne rende conto

TRACKLIST

  1. What It Takes
  2. Bloody
  3. To Let You Down
  4. Missing
  5. Don’t Bother To Ring The Bells
  6. Without A Trace
  7. Typical Of You
  8. Golden Age
  9. Jupiter

CREDITS

Produced and Mixed by Feexer
Mastered by Giuseppe Bassi at dysFUNCTION Studio

TRACK BY TRACK

01 – What It Takes
Il singolo in apertura dell’album affronta la dualità di emozioni dell’essere umano in quanto piccolo frammento dell’umanità. Da un lato la lotta tra la fortissima necessità di essere parte del tutto e dall’altro i dolori, le difficoltà e le incomprensioni che i rapporti umani generano quotidianamente. “Ci fissiamo da una parte all’altra della gabbia” con sospetto, ma sappiamo di aver bisogno l’uno dell’altro e spesso non troviamo il filo conduttore che ci porterebbe, semplicemente, ad abbracciarci come fratelli. In questa umanità ci si perde, ci si ritrova. Ma è una meravigliosa lotta che non smetterà mai di stupire nonostante le difficoltà, perché è quello il tipo di dolore che prelude ai momenti più alti della nostra vita.
Una canzone a cavallo tra grunge e alternative rock, con un ritornello esplosivo preceduto da una strofa con un’interpretazione soffusa dominata da chitarre acustiche e inserti molto diversi tra loro, tra note armoniche distorte e sintetizzatori granitici. Il bridge tra gli ultimi due ritornelli è forse uno dei momenti più psichedelici dell’album, con chitarre ipnotiche in grado di prendere per mano l’ascoltatore tra i muri di synth e tastiere.

02 – Bloody
Ci si può risvegliare un giorno e rendersi conto di avere semplicemente tutto. Allora perché non impieghiamo il nostro tempo a godere di questa scoperta e la nostra mente si perde a immaginare cosa ancora ci manca? Fugge a inventare nuovi obiettivi quando, in realtà, dovremmo sdraiarci a terra e pensare a quanto siamo fortunati. “Avere tutto, maledetto tutto”. È parte della nostra natura non essere mai soddisfatti, vedere negli altri quello che ci manca senza spesso renderci conto che, fermandoci, capiremmo che la ricerca della felicità non è ottenere sempre qualcosa di nuovo. “La nostra maledizione è volere sempre di più. E allora cosa stiamo aspettando?”.
Uno dei brani più easy listening del disco, dotato di un grande slancio nonostante sia guidato da due note per gli interi tre minuti e rotti del pezzo. Chitarre ritmiche e chitarre acustiche che si incrociano e si alternano di volta in volta con ostinati e aperture e uno special che, assieme al finale, riempiono lo spettro di frequenze con un’interpretazione più aggressiva. Il tutto condito da un’elettronica sognante che viene ripresa in parte nell’ultima traccia del disco.

03 – To Let You Down
Il ricordo di un viaggio in Messico dove lei ha scelto di proseguire la sua carriera. Di un amore già finito, al quale si è deciso insieme di dare un ultimo momento di respiro sapendo di avere le ore contate. Il ricordo di quello che era stato prima, una storia sorta dal nulla e nel modo più sorprendente, con una “stupida cassetta” piena di canzoni meravigliose a sancirne l’esplosione. Eppure, quell’ultimo momento tra Città del Messico, Oaxaca e Puerto Ángel è una fenice fugace, qualcosa che torna dalle sue ceneri sapendo che cenere tornerà. La colpa non è di nessuno in fondo, eppure c’è ancora tempo per dirlo: “Non me l’aspettavo, non me l’aspettavo di deluderti”. Un’apertura con un tripudio di chitarre acustiche che potrebbe far pensare alla classica cavalcata Brit Rock e che invece si tuffa nell’altra anima principale della band, con un pre-ritornello che fa da preludio all’esplosione, anche nelle liriche, del ritornello vero e proprio. Un pezzo estremamente semplice con soltanto due ritornelli veri e propri, ma che riesce a riassumere in pochi minuti tanto di quello che l’album desidera esprimere musicalmente.

04 – Missing
Il primo singolo del disco è un’eulogia di tutto quello che, frastornati dal turbinio della quotidianità, ci siamo persi, stiamo perdendo e perderemo. Gli eventi potenziali che ci sfuggono dalle mani e che non abbiamo mai vissuto, i momenti davvero pregnanti che neppure ci accorgiamo di poter assaporare e che potrebbero essere una versione alternativa della nostra vita. Siamo indaffarati a lasciare un segno su questo pianeta quando dovremmo invece fermare questa enorme carrozza rombante che abbiamo creato per renderci conto di quello che ci circonda. Amiamo spesso raccontare o farci raccontare la difficoltà, la critica verso l’altro – con una voracità di brutture – quando il bello è a un passo da noi, esseri distratti. Un brindisi. A tutto quello che va perduto.
Un singolo dalla composizione piuttosto particolare, con una struttura base strofa e ritornello guidata da un amalgama intimista di chitarra acustica, voce e sintetizzatori. Atmosfere che per due volte durante la canzone lasciano spazio a chitarre imponenti accompagnate, nel finale, da quella che più che il cantato di un ritornello è una nenia che prende per mano l’ascoltatore in una cavalcata ipnotica verso la dissolvenza finale.

05 – Don’t Bother To Ring The Bells
La canzone da cui è tratto il nome al disco è anche la sua chiave di lettura a livello lirico. La pigrizia, l’accidia che ci impedisce di aprire nuove strade, nuovi capitoli fa da contraltare alla fame, alla curiosità di scavare ulteriormente nelle nostre vite. “Non disturbati a suonare le campane” che segnano la fine della mia sete di scoperta, canta a gran voce l’autore, “fino a quando non mi darai la possibilità di trovare il mio secondo me stesso”. Un contrasto chiaramente dichiarato nella copertina del disco, una domanda rivolta all’autore stesso e all’ascoltatore: “sei ancora pronto a scavare dentro e fuori di te?”.
Un pezzo che, come altri dell’album, ama accostare momenti più rarefatti, caratterizzati in questo caso da ostinati di voce in primo piano accompagnati da brevi accordi di chitarra, a esplosioni di chitarra elettrica e batteria che marciano di pari passo con pianoforti più simili a carillon. Il bridge della canzone è uno strumentale in cui il pianoforte diventa il vero protagonista, facendosi strada tra sintetizzatori affilati.

06 – Without A Trace
A volte nella vita sentiamo di essere andati oltre la contemporaneità. Di ritrovarci a vivere in un futuro, una post-contemporaneità appunto, dove sentiamo di aver superato i momenti più significativi e dove gli appigli, i riferimenti paiono mancare. Le fiamme dell’adolescenza sono ricordi lontani, così come i piani di rivolta sono ora avvolti in una coltre fumosa. In questi momenti sentiamo di aver perso il sentiero, di non avere una strada vera e propria davanti. Le orme che, un tempo chiarissime, ci guidavano sono scomparse eppure c’è ancora il tempo di capire quanto questo non abbia poi così importanza. “L’erede è nato. Quando sei perso, tu sei oro”.
Quella che è probabilmente la canzone più simile a una ballata all’interno dell’album riesce nelle sue varie fasi, nonostante le numerose variazioni dinamiche, a mantenere il livello di attenzione dell’ascoltatore sempre elevato. Strofe e ritornelli fortemente acustici si alternano tra di loro mantenendo un’aria sognante grazie all’uso accorto di effetti e tastiere brillanti, che non rubano mai la scena all’intreccio tra voci e strumenti. Il finale a sorpresa vuole anche cogliere l’attimo giusto per offrire una chiave di lettura a livello lirico del brano.

07 – Typical Of You
Una canzone dedicata a una persona molto vicina affetta da una grave malattia, un’esperienza che accomuna entrambi i membri della band. Il mondo visto dagli occhi di chi usa la delicatezza e l’armonia come stile di vita, che sa schivare la pochezza umana senza rancore. “Il mondo è rotto, tu sei la colla”. Eppure, al tempo stesso l’ansia e le preoccupazioni di questa persona sono state al centro del suo esistere, pur non arrivando mai ad offuscare un cuore puro. Anche nell’ultimo periodo, ovvero oggi. “L’orologio corre, ma a te va bene così. È tipico di te”.
Un brano delicato fortemente concentrato sulla voce e su atmosfere al tempo stesso solari e malinconiche. Diviso in due da un crescendo molto simile a una marcia con un amalgama di armonie difficilmente ritrovabile nel resto del disco e una chiusura lanciata e aperta. Breve e al tempo stesso denso, probabilmente il brano più introspettivo del disco.

08 – Golden Age
Promesse non mantenute da parte di una società che ci avrebbe voluti tutti uomini e donne in carriera alla ricerca di fama e denaro. La delusione di non sentirsi più parte di un sogno, seppur costruito ad arte, e la ricerca della propria localizzazione sulla mappa della storia dopo questo lungo smarrimento. Eppure, emerge una nuova consapevolezza: che l’Età d’Oro della propria vita è quella in cui siamo più disperati, quella nella quale dobbiamo lottare e tirare fuori i denti per non farci schiacciare. “Ci hanno insegnato che avremmo dominato il mondo, una vergogna che ci ha reso ciechi. Le promesse vengono vendute facilmente e, sadicamente, frantumate”.
Un inizio col volume al massimo, con batterie dal sapore grunge accostate a chitarre e synth distorti. La classica divisione viene stravolta con una strofa potente – appunto l’inizio del brano – e un ritornello energico ma al tempo stesso più armonico ed etereo. Tastiere e sintetizzatori in forte risalto, utilizzati al tempo stesso per creare distese brillanti e rasoi affilati. Il tutto si conclude con un lungo epilogo elettronico. Una “finta” conclusione che lascia spazio all’ultima canzone del disco.

09 – Jupiter
Un pianeta lontano preso come simbolo, come immagine dei sogni più dolci e distanti. Ma anche quelli più irrequieti e turbolenti, che sorgono di notte e che ti fanno svegliare stanco e sudato. La superficie indefinita di Giove come terreno fertile per le fantasie più irrealizzabili. “Il campo magnetico dei nostri fallimenti”, di quello che non siamo mai stati in grado di immaginare. “Giove, il sogno più dolce, da circumnavigare. Giove, ti sei addormentato, eppure balliamo”.
La chiusura del disco inizia con l’unico pianoforte vero e proprio di tutto l’album, un elemento di classicità circondato da un’elettronica che apre spazi e lascia la canzone sospesa per quasi tutti i quattro minuti. Un ritornello dall’approccio diverso rispetto agli altri, con meno frequenze basse per evitare stacchi che possano interrompere questo flusso incorporeo. Le ultime note dell’intero disco sono proprio di pianoforte, un elemento inaspettato ma che conferma la volontà della band di non concentrarsi mai su un determinato sound, dedicando massima attenzione e libertà di espressione a ciascuna canzone.

BIO

Feexer è il moniker dell’artista e produttore modenese Manuel Ciccarelli e al tempo stesso nome della band.
Manuel ha fatto parte della ricca scena alternativa modenese grazie agli anni trascorsi come cantante degli Zeroin, con cui ha inciso un LP nel 2007 e calcato i palchi italiani aprendo gli show di artisti come Gary Numan, The Zen Circus e Addiction Crew.
Il progetto Feexer nasce nel 2017 con la pubblicazione di un demo-album “Headed To” (2017) che ha rappresentato l’inizio di un percorso di sperimentazione di suoni e alchimie, in grado di raccogliere l’esperienza passata dell’artista e alimentando la volontà di esplorare un percorso più personale e intimistico.
Dopo un periodo dedicato alla stabilizzazione della sua seconda carriera (“quella vera, quella che da il pane”) come specialista nel settore delle relazioni internazionali a livello universitario, all’inizio del 2020 Feexer si ritrova con una solida base di materiale per la pubblicazione del suo primo disco in studio e l’interesse di diversi addetti ai lavori. L’improvvisa quarantena, la pandemia, hanno reso la necessità di esprimersi dell’artista una vera e propria urgenza.
È in questa fase di studio del vasto mondo della produzione musicale che Stefano Mazzoli, batterista ed ex componente degli Zeroin entra a far parte del progetto. Il suo contributo si rivela fondamentale per la stesura finale del disco, non solo dal punto di vista ritmico, e per l’ulteriore arricchimento del sound della band. Una fusione artistica che avrà certamente un ruolo importante nei futuri lavori.
La creazione di “Don’t Bother” (2022), l’album d’esordio di Feexer, si trasforma tra il 2021 e il 2022 in un centro di gravità importante anche per altre figure: diversi artisti della scena locale modenese decidono di dare il loro contributo, ognuno nel proprio ambito. Il video del singolo “What It Takes” viene inoltre girato in quello che ha rappresentato per anni una Mecca della scena alternativa locale, lo Zeta Factory di Carpi.
Giuseppe Bassi (dysFUNCTION Productions) ha accettato di aggiungere il suo tocco a quello che era un prodotto ormai in fase molto avanzata, con grande rispetto verso quanto creato fino a quel momento e intuizioni che si sono rivelate preziose e perfettamente complementari, e che hanno innalzato la qualità dei brani a un livello superiore.
Alla pubblicazione di “Don’t Bother” seguirà all’inizio del 2023 un tour di promozione in Italia, mentre la band sta iniziando a lavorare al materiale del suo secondo disco in studio e a un EP in cui verranno rielaborate alcune tracce del demo-album del 2017.

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