Schiamazzi

Schiamazzi
“Schiamazzi” Ep
Release Date: 5 novembre 2021
Etichetta: Autoprodotto

(Presspage riservata alla stampa – DA NON PUBBLICARE)

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“Schiamazzi” è l’EP omonimo del cantautore genovese.
5 canzoni che si presentano come una piccola antologia di racconti, 5 storie che si snodano nella stessa città, tra il porto e i vicoli, senza che i protagonisti si conoscano o si incontrino mai. 5 tracce che nascono dal bisogno di ridimensionare le cose. Il desiderio di trovare spazi diversi e cassetti vuoti, smorzare alcuni malesseri e amplificare quello che vorrebbe passa in sordina. Canzoni scritte anche durante le guardie di notte in ospedale, tra una visita e l’altra, su foglietti di carta e sulle note del cellulare. Immagini apparentemente scollegate tra loro, ma unite dall’obiettivo di distruggere un pre-concetto, che sia il bisogno di sentirsi speciali, di farcela a tutti i costi o la necessità di dire “per sempre”. Da questa di distruzione si sente il bisogno di ricostruire qualcosa di diverso, una nuova consapevolezza.
Raccontare aiuta a comprendere, e comprendere aiuta a curare. Forse non a guarire ma sicuramente a stare meglio.

TRACKLIST

1. Distruzione di Marta
2. Fèlicette
3. Dicotomia
4. Nel Furto è la Speranza
5. Vico dell’Amore Perfetto

CREDITS

Registrato presso Homeward Laboratories, Bavaggi (GE)
Mix e master di Mattia Cominotto presso Greenfog Studio (GE) e di Matteo Zangrandi presso Homeward Laboratories, Bavaggi (GE)
Registrato da Schiamazzi (voce, chitarra, basso), Matteo Zangrandi (chitarra, tastiere, basso), Francesca Benitez (voce), Federico Secci (voce), Gregory Ezechieli (sassofono), Simone Cattedra (tromba), Federico Venini (percussioni), Francesco De Fino (chitarra)
Prodotto da Matteo Zangrandi
Composto da Schiamazzi, Matteo Zangrandi

TRACK BY TRACK a cura di Schiamazzi

1. DISTRUZIONE DI MARTA
Il primo ascolto di Distruzione di Marta genera un solo e ingombrante pensiero: “sì, ma povera Marta”. Il peggio che si possa scrivere, l’anti-canzone d’amore, quello di cui l’autostima non aveva proprio bisogno: sentirsi ripetere ritornello dopo ritornello “non sei speciale”. La verità è che non c’è nessuna Marta e che il punto fondamentale sia quanto possa far male sentirsi dire “non sei speciale”. Forse tra le cose che fanno più paura c’è il non riuscire a distinguersi, l’essere uguali agli altri ed imitabili. Ci sentiamo ripetere sin da piccoli che siamo unici e speciali e il contrario fa molta paura. Forse tutto questo ci ha reso solo più fragili e le cose sono diventate più difficili e faticose. Questa canzone vorrebbe permettere di riappropriarsi di quel contrario, di tutte le sue sfumature, perché non c’è nulla di terribile nel non essere come ci vorrebbero. Mi piacerebbe svegliarmi o andare a letto la sera e pensare non c’è niente di speciale in me. Vabbuo’.

2. FELICETTE
Félicette è l’unica gatta ad essere stata inviata nello spazio e ad essere tornata sana e salva sulla terra, nonché il primo gatto in assoluto a fare un viaggio interspaziale.
La canzone non parla di Félicette, ma è stata scritta con lo stesso spirito. Quello di un gatto sparato sulla luna e che spera di tornare vivo a casa.
È una canzone che parla di un tentativo disperato di far quadrare le cose, contro ogni pronostico, anche quando tutto dice di lasciar perdere. Una relazione difficile, un silenzioso elefante addormentato in una cristalleria e con il sonno leggerissimo.
Le difficoltà e le differenze tra due persone vengono raccontate attraverso la metafora di un’allergia ai gatti. E 5 felini in casa.

3. DICOTOMIA
Se c’è una cosa che mi fa uscire di testa è il concetto di eternità che ci è stato trasmesso con le parole “per sempre”. Non mi sento in grado di dire “per sempre”, questo mi ha spesso messo a disagio e anche quando me lo sono sentito dire non è mai stato un per sempre. Poi qualcuno mi ha spiegato che per sempre non indica la durata, indica l’intensità. Con questa consapevolezza ho smesso di stare male per tante cose del passato e, per certi aspetti, ho ricominciato ad essere felice quando mi sento dire un per sempre. Perché nessuno può assicurare l’eternità e bisogna essere contenti del fatto che in quell’istante ci sia qualcosa di così forte da voler affrontare il tempo.

4. NEL FURTO è LA SPERANZA
Sdraiato nel suo letto, con un senso di peso opprimente sul petto, un uomo ascolta alla radio la notizia che preannuncia il suo imminente arresto. La fine di una corsa durata anni, anni trascorsi tra furti e rapine, un epilogo inevitabile, che conosce da tempo ma che allo stesso tempo sembrava non arrivare mai, rimandato chissà quante volte.
Il ritornello suona come una preghiera o, almeno, vorrebbe esserlo. Una preghiera rivolta ad una divinità indifferente in grado di svuotare le galere che gli uomini si affannano senza sosta a riempire. Una confessione senza pentimento che mostra il proprio dolore solo nel canto lirico.
Chiuso in questo limbo, colpevolizzato dalla società e costretto ai margini, l’uomo decide infine di costituirsi, stanco e senza più risorse.
L’ultima strofa risuona lontana dalla cella di un carcere di chissà quale umida città. Sotto un cielo vagamente stellato torna il ricordo di quelle parole che tante volte ha sentito pronunciare da una bocca amata. Quelle parole danno il titolo a questa canzone: nel furto è la speranza.
“Nel furto è la speranza” è la metafora di un uomo che ha trascorso la sua esistenza cercando di migliorare la propria situazione e, dopo una vita spesa nella speranza di poter cambiare la condizione a cui si è sentito predestinato, finisce i suoi giorni in una cella, riflettendo sul senso di quelle parole che lo avevano accompagnato per così tanto tempo.
Anche nelle azioni più aggressive è nascosto un oscuro fondo di speranza.
Non è il furto di chi già possiede tanto ma desidera avere ancora e ancora, senza riuscire mai a fermarsi. E’ un furto figlio della disperazione, di chi non ha ricevuto ciò che sperava o si aspettava dalla vita.
Per lo psicoanalista Winnicott il bambino che non ha nulla, il bambino deprivato, inizia a rubare quando incomincia a sperare, quando le sue condizioni di vita stanno cambiando e capisce che può farcela.
«E’ nel periodo della speranza che il bambino manifesta la tendenza antisociale».

5. VICO DELL’AMORE PERFETTO
In vico dell’amor perfetto c’è tanta stanchezza. E’ una canzone che racconta una condizione umana di sofferenza, una bilancia che non è mai in equilibrio tra il breve, brevissimo stare bene e il più lungo e persistente fastidio e malessere fisico: l’astinenza. Si susseguono immagini che rappresentano i tentativi di riportare quella bilancia in asse, un tentativo disperato dietro l’altro di aggiungere qualcosa sul piatto per non vivere una vita sempre sentendosi in difetto, intervallata da quei momenti di piacere talmente tanto surreale da essere ogni volta più difficili da riprodurre.
Una dipendenza è un eterno rincorrersi senza mai raggiungersi, come quell’amore perfetto perché impossibile, in cui alla fine si perde tutti.

BIO

Schiamazzi è un cantautore genovese ma anche un medico psichiatra e, forse, è questo che lo ha spinto a fare musica.
Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 pubblica due delle canzoni scritte nel corso dei primi anni di lavoro in ospedale, seguite dal videoclip del singolo “Félicette”.
Nelle sue canzoni le sonorità acustiche e i testi prettamente cantautorali si contaminano a seconda delle collaborazioni che gravitano attorno allo studio Homeward Laboratories, prima tra tutte quella con la cantate lirica Francesca Benitez. La chitarra classica portante spesso si accompagna alle percussioni e ad una sezione fiati malinconica. Nei suoi pezzi parla delle persone che incontra e delle storie che gli vengono raccontate, ma anche di sé, della sua famiglia e delle persone che ama, in un continuum che si mescola e si confonde. Il tutto protetto da una maschera, con tanto di piume annesse.
Infondo sono solo schiamazzi.
La scelta dell’anonimato e la maschera che indossa separano il medico dal cantautore, ma soprattutto lo traghettano tra le sue identità, uno switch che gli permette di avere maggiore libertà espressiva e dare spazio a tutte le parti di sé, eliminando i limiti imposti e aprendo nuove prospettive. I versi delle canzoni si inseguono come fotografie che non hanno bisogno di verbi. La luce è quella artificiale dei lampioni, quella delle lampade che oscillano sospese sui vicoli di Genova. Le facce non sono perfette, i lineamenti a volte fanno paura. Il suo modo di trattare il disagio psichico è lontano dai freak shows e dalla spettacolarizzazione che spesso l’arte riserva a questo tema, è asciutto e realistico, presentandolo come qualcosa di incredibilmente quotidiano e comune.
Nelle storie di Schiamazzi i riferimenti temporali si perdono, come in quei sogni che non sapresti dire se siano durati 5 minuti o tutta la notte.

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